Tristan Tzara e gli esordi del Cut up
- Il Fruscio delle Parole
 - 3 mar 2023
 - Tempo di lettura: 1 min
 
Aggiornamento: 5 giu 2023
a cura di Anna Rampini
Le parole giocano nella nostra testa.
Scrivere significa assemblare e cucire frammenti di idee, componendo sintagmi di senso compiuto.
Può avvenire che si scelga deliberatamente di “tagliare” queste parole. In questo modo il gioco sintattico diventa una realtà insensata.
Il poeta dadaista Tristan Tzara (16 aprile 1896 – 25 dicembre 1963) per primo intuì che le parole potevano vivere in maniera autonoma, acquisendo addirittura nuovi significati.
Tzara sperimentò questa sua intuizione a un raduno di artisti dadaisti.
Si presentò con un cappello ricolmo di parole, scritte su foglietti mescolati a caso, e chiese di estrarne alcune per comporre, lì sul momento, un poema.
Questi furono gli esordi della tecnica in seguito nota come “cut-up”.
Nel Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, letto a Parigi il 12 dicembre 1920 e pubblicato nel 1921, si legge la “ricetta” per fare una poesia dadaista.
Prendete un giornale.
Prendete un paio di forbici.
Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia.
Ritagliate l’articolo.
Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto.
Agitate dolcemente.
Tirate fuori le parole una dopo l’altra, disponendole nell’ordine con cui le estrarrete.
Copiatele coscienziosamente.
La poesia vi rassomiglierà.
Ed eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e fornito di una sensibilità incantevole, benché, s’intende, incompresa dalla gente volgare.
Altri poeti si ispirarono alle innovazioni stilistiche e concettuali di Tzara e del dadaismo.
Nell’America degli anni ’50, nel cuore della beat generation, l’autore che più di tutti prese a piene mani la tradizione avviata dai dadaisti fu William S. Burroughs, il quale elaborò una tecnica di scrittura creativa che prese il nome di cut-up.







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